Gaetano lo sapeva l’effetto che mi avrebbe fatto questo pezzo. Anzi, sapeva che effetto mi avrebbe fatto tutto l’album. E dopo una settimana a parlare delle bERLUSCATE, giro un attimo pagina. Un po’ di nostalgia e poi voglia di parlare di cose che mi interessano. Anche se in ritardo.
Questo è l’album di Capa che mi è piaciuto più di tutti. L’album che, forse, più di tutti spiega l’inquietudine, la rabbia e l’energia delle nuove generazioni. Mi sembra il loro lavoro più maturo sia per forma che – soprattutto – per contenuti. Ironia e intelligenza nei testi, come sempre, ma anche maggiore attenzione ai contenuti. O meglio, credo che per Le dimensioni del mio Caos si sia presa molto bene la mira. Bravi davvero.
Il bersaglio non è solo l’imbecillità contagiosa confezionata dalla riproduzione culturale che i caimani hanno magistralmente condizionato nel nostro Paese. Il bersaglio non passa necessariamente dal tubo catodico, anche se il ruolo sociale degenerativo dei figuranti rimane di primo piano. Questa volta, più delle altre, si scende sulla terra, nel quotidiano, nella vita delle persone. Nel caos di simboli e sirene che generano assuefazione e confusione, ma anche tra le difficoltà di un’esistenza sempre più precaria, difficile e… innaturale. Insomma, le bussole sono tutte guaste: o si riconquista una dimensione umana o ci si perde. La punta più alta della critica ai convincimenti sociali del pensiero dominante si ha forse nel brano liberatorio Bonobo Power (io ci ho visto sottili richiami musicali a Frank Zappa. E non solo in questo pezzo).
Fa da sfondo a tutto il lavoro la contrapposizione, lo scontro, quasi la sfida tra le percezioni di ciò che è normale e di ciò che non lo è, tra ciò che è naturale e ciò che non lo è. E poi… mi è arrivato ancora un altro messaggio: l’ineluttabilità della scelta che ciascuno ha da fare tra l’uomo qualcuno/e l’uomo qualunque. O mio Dio, che ho scritto? Provo a spiegarmi. E’ come se questo tempo non lasciasse vie d’uscita. E’ come se la società fosse costruita in modo da non offrire alternative: delle due l'una o (alternativa A) ti iscrivi (da promoter entusiasta, che rincorre il mito) al partito unico (e sei qualunquista), oppure (alternativa B) non lo fai e allora ti smaterializzi nell’inerzia (da qualunquista, uguale) o al massimo ti disconnetti e ti isoli dalle consuetudini. In ogni caso subendo da ignavi lo status quo. Be’, questa è solo una mia chiave di lettura, per carità. Trattasi di provocazione, ovviamente. Rimane costante nell’album l’invito implicito a svegliarsi e a costruire un tempo migliore, senza scorciatoie opportunistiche (niente scuola, niente libri e giornali, successo da figurante, disimpegno, ecc…). Si parte da qui, Valeria, dall’aprire gli occhi e trovare il modo di dire quello che si vede.
A me è arrivata così. Grazie ragazzi.
Questo è l’album di Capa che mi è piaciuto più di tutti. L’album che, forse, più di tutti spiega l’inquietudine, la rabbia e l’energia delle nuove generazioni. Mi sembra il loro lavoro più maturo sia per forma che – soprattutto – per contenuti. Ironia e intelligenza nei testi, come sempre, ma anche maggiore attenzione ai contenuti. O meglio, credo che per Le dimensioni del mio Caos si sia presa molto bene la mira. Bravi davvero.
Il bersaglio non è solo l’imbecillità contagiosa confezionata dalla riproduzione culturale che i caimani hanno magistralmente condizionato nel nostro Paese. Il bersaglio non passa necessariamente dal tubo catodico, anche se il ruolo sociale degenerativo dei figuranti rimane di primo piano. Questa volta, più delle altre, si scende sulla terra, nel quotidiano, nella vita delle persone. Nel caos di simboli e sirene che generano assuefazione e confusione, ma anche tra le difficoltà di un’esistenza sempre più precaria, difficile e… innaturale. Insomma, le bussole sono tutte guaste: o si riconquista una dimensione umana o ci si perde. La punta più alta della critica ai convincimenti sociali del pensiero dominante si ha forse nel brano liberatorio Bonobo Power (io ci ho visto sottili richiami musicali a Frank Zappa. E non solo in questo pezzo).
Fa da sfondo a tutto il lavoro la contrapposizione, lo scontro, quasi la sfida tra le percezioni di ciò che è normale e di ciò che non lo è, tra ciò che è naturale e ciò che non lo è. E poi… mi è arrivato ancora un altro messaggio: l’ineluttabilità della scelta che ciascuno ha da fare tra l’uomo qualcuno/e l’uomo qualunque. O mio Dio, che ho scritto? Provo a spiegarmi. E’ come se questo tempo non lasciasse vie d’uscita. E’ come se la società fosse costruita in modo da non offrire alternative: delle due l'una o (alternativa A) ti iscrivi (da promoter entusiasta, che rincorre il mito) al partito unico (e sei qualunquista), oppure (alternativa B) non lo fai e allora ti smaterializzi nell’inerzia (da qualunquista, uguale) o al massimo ti disconnetti e ti isoli dalle consuetudini. In ogni caso subendo da ignavi lo status quo. Be’, questa è solo una mia chiave di lettura, per carità. Trattasi di provocazione, ovviamente. Rimane costante nell’album l’invito implicito a svegliarsi e a costruire un tempo migliore, senza scorciatoie opportunistiche (niente scuola, niente libri e giornali, successo da figurante, disimpegno, ecc…). Si parte da qui, Valeria, dall’aprire gli occhi e trovare il modo di dire quello che si vede.
A me è arrivata così. Grazie ragazzi.
La domanda è... ma c'è da essere orgogliosi ad essere pugliesi? C'è da essere orgogliosi di come si possa distruggere la bellezza e soffocarla nelle brutture di un mondo del lavoro (sopratutto edilizia spregiudicata) che logora e... uccide persone (non chiacchiere, non retorica: morti sul lavoro. Operai metalmeccanici, chimici, edili... Morti "bianche". Troppe) e natura? Come se la dimensione sognante della nostra Puglia, del nostro mare, delle nostre calde estati, della musica, dell'amicizia, degli sciscileu (omaggio al grande Salento), vengano sistematicamente e violentemente interrotti dalla logica dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sull'ambiente. In nome di uno "spazio porto" qualsiasi. Troppa puzza di zolfo, ragazzi. Quante volte ne abbiamo parlato al pub, sulla spiaggia, al "Pennello", nelle notti d'estate (e d'inverno)? Che tempi. Andandomene mi sembra di aver tradito le tante promesse di impegno e di lotte. Ma lo zolfo era davvero troppo per me. Lo sento nelle narici anche ora. Per ora mi basta il click sul megafonolibero.
O Puglia Puglia mia tu Puglia mia, ti porto sempre nel cuore quando vado via.
E subito penso che potrei morire senza te e subito penso che potrei morire anche con te.
O Puglia Puglia mia tu Puglia mia, ti porto sempre nel cuore quando vado via.
E subito penso che potrei morire senza te e subito penso che potrei morire anche con te.
3 commenti:
Non c'è che dire! Con questo album Capa si è superato!
Quanto alla Puglia, credo che non sia altro che una delle regioni d'Italia. Se in Puglia c'è puzza di zolfo, altrove c'è puzza di merda. In ogni caso il demonio sta arrivando in tutta la penisola... o forse è già al Governo!
La propria terra è come la propria mamma. Di mamme ce ne sono tante, ma ciascuno di noi ne ha una sola.
E poi, la Puglia, è una terra meravigliosa. Violentata e imbruttita giorno dopo giorno dal ceto politico che si ritrova e da quelle bestie che l'hanno votano.
la pelle d'oca mi viene...
wow wow wow
Posta un commento