giovedì, giugno 19, 2008

MAL di MERITO


Non prendo mai per oro colato quello che leggo, quello che ascolto. Sono critico, spesso polemico. Un po’ Bastian contrario. Non è una questione di stile o di estetica comportamentale. Forse è perché sono perennemente alla ricerca di “un centro di gravità permanente (che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente)”, che diffido (o cerco di diffidare) dalle facili guide e dalle idee messianiche. Non sempre ci riesco, ma in generale non mi fido, perché non riesco mai ad abbinare a idee, persone, ecc… quell’aggettivo: permanente. Tutto, sempre, inesorabilmente, cambia. Questo rende insicuri, ma anche “affamati”: mai fermi, sempre in ricerca.

Beh, di tanto in tanto, però, trovi qualcosa che se non altro ti aiuta a capire. Per esempio Andrea, mio ex collega di BNL (dove ho fatto uno stage finito tre mesi fa), che intuiva, ma non capiva la mia fame, la mia ricerca, seppur silenziosa, mi ha regalato per Natale due libri: la Casta e Mal di merito, di Giovanni Floris. E’ del secondo che voglio parlare (del primo, che non ho letto, ha già parlato tanto la TV). Iniziai a leggerlo, ma preso da conati di vomito (per rabbia e per bruciori di culo) lo abbandonai. Finché Roma (la Roma metropoli e la Roma Capitale) non è passata alle amorevoli attenzioni del Popolo delle libertà, che ha sconfitto l’ecumenico Walter (proposto dagli ex missini “Santo subito”) e, peggio, ha schiacciato tutta la sinistra colorata fuori dal parlamento. Nella mia Molfetta, invece, per pura sfortuna – prrrrr – il centrosinistra non si è nemmeno presentato. O meglio, il PD era in coalizione con una variegata rappresentanza del genere umano, in tutto lo splendore della sua linea evolutiva – dal primate, all’homo sapiens et callidus –. Conservatori, trasformisti e facce di culo, insomma. Nel frattempo, mentre facevo i conti con l’affitto e sperimentavo sempre più la pasta in bianco (tanto l’olio lo porto da giù), c’era chi aveva già trovato il modo giusto – la porta giusta, la chiave giusta, l’inclinazione giusta (90), – per sistemarsi, far carriera, fare soldi, fare business, intraprendere la professione, provare a se stesso e alla propria famiglia di essere un uomo vero, che sa convivere con il potere (a Roma, come a Molfetta). Ma i più, quel modo giusto non lo trovano (anche quando lo cercano).

Mal di Merito è un libro che ti dà conforto. Non perché chissà quale trucco ti insegni per essere felice, ma perché, semplicemente, ti dà ragione. Insomma, voglio dire: a chi rode accorgersi quanto sia frequente la fortuna immeritata (leggi spintarella) e quanto la sfortuna subita (leggi scegliere di tenere la schiena dritta), Floris dice, semplicemente: hai ragione ad essere incazzato. Mal di merito non è un libro né di destra, né di sinistra. Non è un libro con una formula magica. Non è nemmeno esattamente una mappa delle raccomandazioni in Italia, né il solito libro ruffiano, che si accattiva il lettore con i luoghi comuni. Le schifezze dell’Italia non sono luoghi comuni, anche se producono assuefazione. E’ normale, tutto normale, perché l’Italia è immobile (sicuramente più immobile degli altri Paesi occidentali). L’Italia dei baroni e dei vecchiacci, l’Italia dei leccaculo e dei portaborse, l’Italia della staticità sociale, l’Italia dell’amarezza e della delusione, l’Italia di quell’immenso sottobosco di persone in lotta per la sopravvivenza, sotto l’ascella di qualche don Rodrigo o, peggio, di fianco a qualche don Abbondio. L’Italia delle raccomandazioni. Ma nonostante questo Mal di merito è un libro di speranza, che dà coraggio. Con me ci è riuscito, Floris.

Mal di merito è semplicemente un libro fatto bene, che parla di noi, della nostra casa e della nostra vita. A parte la curatissima ricerca di contenuti, aneddoti e motivazioni che ci sta dietro, il lavoro è impostato in modo da farti venire voglia di dire ad un destino già scritto sulla pietra dai baroni (di ogni genere e tipo, in ogni campo delle attività umane) e dalla consuetudine (abitudine, rassegnazione, impotenza): “‘fanculo! Con me perdete la partita”. Ti viene voglia di vincere la partita, senza piegarsi e senza barare. Senza barare. Perché ogni volta che accade (una vittoria senza barare), qualcosa si inceppa negli ingranaggi di questa grande macchina della sospensione del tempo: l’Italia dove “tutto cambia per non cambiare”.

Be’, se posso suggerire un libro da leggere, subito, senza perdere altro tempo, vi consiglio questo. Se ne esce incazzati e intristiti, ma anche arricchiti e temprati. E dopo la lettura della prima appendice (un estratto dell'intervento di Steve Jobs ai laureati 2005 di Stanford. Straordinaria la storia sull'unire i puntini), ci si sente anche un po’ “eroi”, come Luigi delle Bicocche, ma con delle prospettive da voler disegnare d’avanti. L’importante è non demordere.

Stay Hungry. Stay Foolish.

Nessun commento: