lunedì, giugno 30, 2008

Non è uno SCHERZO

Sic!



Effettivamente ne sono ghiotto. E alcune volte... ho affondato con indomita assenza di pudore il cucchiaione dentro il barattolo e poi l'ho tirato fuori con l'acquolina che guidava la bocca verso quel denso concentrato di sapore. Un capolavoro. A volte nascondo il barattolo in posti diversi, perché non so resistere a certe tentazioni.

La Nutella rappresenta per l'immaginario collettivo l'inconfessabile emblema della trasgressione. Anche per quei tre italiani che non amano la Nutella, il barattolo magico indica la debolezza della carne, uno dei più temuti peccati capitali (secondo me è il peccato meno confessato dai sacerdoti. Meglio l'autopenitenza: le diete). Insomma... la Nutella, è un meraviglioso simbolo di ingordigia. Mia madre ha sempre cercato di insegnarmi (con scarso successo) ad essere equilibrato. La Nutella sta agli insegnamenti di mia madre, come il potassio sta all'acqua (ma chi rubò il potassio al liceo? e soprattutto... chi lo buttò nel cesso per sbarazzarsene? vabbè, questa è un'altra storia).

Insomma, si diceva... ingordigia. Potremo dire anche voracità, insaziabilità, bramosia, cupidigia, ecc... Dalle mie parti di dice di una persona ingorda: "scrrùtte" (letto sk-rutt). Una parola buffa, rozza, per indicare l'assenza di freni e inibizioni, davanti a ciò che fa gola.

Be'... quel barattolo dell'immagine... indicherebbe la mia città, Molfetta, mentre Tonino è il mio Sindaco (nonché presidente della commissione Bilancio del Senato della Repubblica). La cosa sconvolgente è che il tagliandino... non è stato realizzato da qualche bricconcello, ma da lui, dal Sindaco.

Lo so, lo so: non è chiaro. Allora ripeto. Il Sindaco di Molfetta ha ringraziato la città per il nuovo bagno di voti, tappezzandola con questa merda di manifesto e tappando tutti i buchi dei giornali con la pubblicità che vedete sopra (ma non manca un punto interrogativo?). E' la democrazia. E lui ha vinto, quindi... festeggia.

Pudoreeeee? Dove sei? Almeno la DC prendeva per il culo, questi te la fanno in faccia. Ma queste cose succedono anche altrove? Mi piacerebbe trovare un modo più sano per digerire questa Nutella. Ché ce l'ho sullo stomaco...

sabato, giugno 28, 2008

vieni a ballare in PUGLIA

Gaetano lo sapeva l’effetto che mi avrebbe fatto questo pezzo. Anzi, sapeva che effetto mi avrebbe fatto tutto l’album. E dopo una settimana a parlare delle bERLUSCATE, giro un attimo pagina. Un po’ di nostalgia e poi voglia di parlare di cose che mi interessano. Anche se in ritardo.

Questo è l’album di Capa che mi è piaciuto più di tutti. L’album che, forse, più di tutti spiega l’inquietudine, la rabbia e l’energia delle nuove generazioni. Mi sembra il loro lavoro più maturo sia per forma che – soprattutto – per contenuti. Ironia e intelligenza nei testi, come sempre, ma anche maggiore attenzione ai contenuti. O meglio, credo che per Le dimensioni del mio Caos si sia presa molto bene la mira. Bravi davvero.

Il bersaglio non è solo l’imbecillità contagiosa confezionata dalla riproduzione culturale che i caimani hanno magistralmente condizionato nel nostro Paese. Il bersaglio non passa necessariamente dal tubo catodico, anche se il ruolo sociale degenerativo dei figuranti rimane di primo piano. Questa volta, più delle altre, si scende sulla terra, nel quotidiano, nella vita delle persone. Nel caos di simboli e sirene che generano assuefazione e confusione, ma anche tra le difficoltà di un’esistenza sempre più precaria, difficile e… innaturale. Insomma, le bussole sono tutte guaste: o si riconquista una dimensione umana o ci si perde. La punta più alta della critica ai convincimenti sociali del pensiero dominante si ha forse nel brano liberatorio Bonobo Power (io ci ho visto sottili richiami musicali a Frank Zappa. E non solo in questo pezzo).

Fa da sfondo a tutto il lavoro la contrapposizione, lo scontro, quasi la sfida tra le percezioni di ciò che è normale e di ciò che non lo è, tra ciò che è naturale e ciò che non lo è. E poi… mi è arrivato ancora un altro messaggio: l’ineluttabilità della scelta che ciascuno ha da fare tra l’uomo qualcuno/e l’uomo qualunque. O mio Dio, che ho scritto? Provo a spiegarmi. E’ come se questo tempo non lasciasse vie d’uscita. E’ come se la società fosse costruita in modo da non offrire alternative: delle due l'una o (alternativa A) ti iscrivi (da promoter entusiasta, che rincorre il mito) al partito unico (e sei qualunquista), oppure (alternativa B) non lo fai e allora ti smaterializzi nell’inerzia (da qualunquista, uguale) o al massimo ti disconnetti e ti isoli dalle consuetudini. In ogni caso subendo da ignavi lo status quo. Be’, questa è solo una mia chiave di lettura, per carità. Trattasi di provocazione, ovviamente. Rimane costante nell’album l’invito implicito a svegliarsi e a costruire un tempo migliore, senza scorciatoie opportunistiche (niente scuola, niente libri e giornali, successo da figurante, disimpegno, ecc…). Si parte da qui, Valeria, dall’aprire gli occhi e trovare il modo di dire quello che si vede.

A me è arrivata così. Grazie ragazzi.



La domanda è... ma c'è da essere orgogliosi ad essere pugliesi? C'è da essere orgogliosi di come si possa distruggere la bellezza e soffocarla nelle brutture di un mondo del lavoro (sopratutto edilizia spregiudicata) che logora e... uccide persone (non chiacchiere, non retorica: morti sul lavoro. Operai metalmeccanici, chimici, edili... Morti "bianche". Troppe) e natura? Come se la dimensione sognante della nostra Puglia, del nostro mare, delle nostre calde estati, della musica, dell'amicizia, degli sciscileu (omaggio al grande Salento), vengano sistematicamente e violentemente interrotti dalla logica dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sull'ambiente. In nome di uno "spazio porto" qualsiasi. Troppa puzza di zolfo, ragazzi. Quante volte ne abbiamo parlato al pub, sulla spiaggia, al "Pennello", nelle notti d'estate (e d'inverno)? Che tempi. Andandomene mi sembra di aver tradito le tante promesse di impegno e di lotte. Ma lo zolfo era davvero troppo per me. Lo sento nelle narici anche ora. Per ora mi basta il click sul megafonolibero.


O Puglia Puglia mia tu Puglia mia, ti porto sempre nel cuore quando vado via.
E subito penso che potrei morire senza te e subito penso che potrei morire anche con te.

venerdì, giugno 27, 2008

IMBARAZZO della scelta

Ma soprattutto imbarazzo

Lo ammetto: ci ho preso un po’ gusto a scrivere. Stasera, mentre tornavo a casa, pensavo a cosa metterci sul blog. Non credo di riuscire a scrivere tutti i giorni, ma se posso, vorrei tentare di farlo spesso. Comunque sia avevo un po’ di idee. Mi sono detto “tutto, ma non Berlusconi”.
Non ce l’ho fatta perché mi sento rodere troppo. E' semplicemente spudorato. Spontaneamente, linearmente, candidamente spudorato. Ogni giorno ne fa almeno una. Come le dichiarazioni di estraneità alle attività delle sue aziende e poi le intercettazioni che ha vietato, per non avere rotture di coglioni.

E in questa estrema assenza di pudore che gli elettori vedono la figura di un uomo forte, capace di tranquillizzare sempre tutti. Quasi tutti. E poi ha successo con le donne. Insomma... chi non lo voterebbe? Comunque a Confesercenti è stato straripante. Grande. Un vero leader che si trova a casa sua in ogni circostanza.





A proposito di conflitto tra i poteri dello Stato (il conflitto di interessi ormai non mi interessa più: sono rassegnato)... Montesquieu & C. ormai sono troppo vecchi, per capire i problemi della modernità. Occorre qualcosa di più moderno per ridisegnare il sistema istituzionale (o come tutti amano dire fare le "riforme" costituzionali). Qualcosa di più efficace, con una vocazione di maggiore solidità, di maggiore forza.

Suggerisco un evergreen del Secolo Breve: Benito Mussolini. In una situazione così kafkiana sembrerà una nomination poco originale e del tutto pretestuosa.

...

Eppure... io di pretestuoso non ci trovo davvero niente. Pensate che la situazione all'alba del fascismo fosse tanto diversa da quella attuale? Be'... io no. E temo. Temo un'ondata di violenza (anche di sinistra). Lo temo davvero.

mercoledì, giugno 25, 2008

Poteri, mafie e IPOCRISIA

Sbeffeggiare l'intelligenza dei cittadini è la professione del potere.


Be', in molti potrebbero essere turbati dalla visione di questo video. Per questo vi invito a lasciar perdere: meglio non pensarci... Abbassiamo lo sguardo e torniamo alle nostre case, tra le nostre cose.




Per inciso: ho grande rispetto per i veri ministri di culto. Quelli veri, però. Quelli che non hanno bisogno di diffondere le pratiche della raccomandazione, come premio per la devozione di alcuni fedeli. Quelli che non hanno bisogno del potere, per guidare il popolo di Dio. Tuttavia... be'... lasciamo stare: adesso rischio di diventare davvero anticlericale. Meglio rinviare ad un altro post.

Intanto, però, sottolineo quanto detto dal senatore a vita Giulio Andreotti: "...io continuo a preferire la tradizione...". Ed in questa breve frase che si racchiude la verità del nostro Paese. Andreotti, come Berlusconi, è un conservatore. Il potere che conserva se stesso, avvolto dalla tradizione ed ostile al progressosociale (lo scrivo tutto attaccato, per non destare sospetti e non indurre in fraintendimenti).

Nel frattempo... il governo Prodi (nato già deforme) è caduto ed ora governa il nano malefico.

PS: ... Lo so: sono politicamente scorretto.

Immunità per il POTERE



Francamente non mi sono scandalizzato per l'ennesimo imbroglio salva-premier. Al potere non sono ammesse debolezze. Il potere deve legittimarsi e rafforzarsi. Il potere deve calcolare le proprie mosse. Tutte. Il potere si deve auto-tutelare. E' naturale.

E ti tremano le gambe se vuoi affrontarlo. Ci tremano le gambe. A noi italiani. Perché a noi italiani non manca mai il coraggio, quando possiamo lamentarci, quando possiamo sparare in aria. Ma dopo dobbiamo tornare nelle nostre case, tra le nostre cose e continuare a fare quello che sappiamo fare: niente. Le parole non ci mancano quasi mai, se sono inutili, superflue, già dette da qualcuno. Temo, purtroppo, che sin da piccoli siamo educati all'invidia, più che al desiderio di cambiamento: l'Italia è un Paese conservatore e noi onoriamo il potere con il nostro colorito e rumoroso silenzio. Siamo mansueti, per quanto casinisti.

Non reggiamo lo sguardo. Lo sguardo del potere. Abbassiamo il capo. Cominciamo a guardarci il naso e gli occhi deviano verso il basso, verso sinistra e verso destra. E poi sorridiamo con saggezza. Lo sappiamo bene: il potere si combatte solo quando è caduto, ma prima che cada, un'amicizia giusta, un contatto utile... serve sempre. Le opportunità non si bruciano e il potere è sempre gravido di promesse e speranze di opportunità.

Be' hanno detto un gran male del Caimano e al Divo ci si accosta come ad un film documentario. Ma io non credo che sia passato il messaggio giusto. Io credo che sia l'uno che l'altro abbiano analizzato un sistema di potere, prima che due storie. Un potere forte, che si è imposto in Italia, senza che nessuno poteva (e voleva) opporvisi. Non è solo di Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi che si parla, ma di due sistemi di calcolo e controllo formidabile. Ed in entrambi i casi c'è sempre il volto sorridente e soddisfatto dell'italiano medio, che il potere non ha mai violato nel suo diritto a sentirsi estraneo, privo di responsabilità.

Cosa sia più spudorato tra i crocifissi dei dorotei e le facce di culo dei vassalli di Berlusconi non lo so. Quello che so è che qualcuno ha detto "ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale". Caro Hegel, tutto questo, quindi, risponde alla logica del mondo? Mah... Tutto questo, io temo, continuerà a consumare il Paese fino a sfibrarlo completamente.

Siete davvero sicuri che non si rischi di rivivere presto una nuova stagione di violenza? Siete davvero sicuri? Io no.

domenica, giugno 22, 2008

DIETRO le rotaie



Questa volta l’Eurostar è puntuale. Sfreccia per la campagna pugliese. Per la prima volta sono in prima classe. Per carità, non è un vanto, ma un lamento: oggi i posti erano tutti occupati in seconda. Stasera gioca l’Italia e, se vuoi vedere la partita, il weekend termina prima per molti migranti come me. Insomma… 54€ da Barletta, destinazione Roma Termini. Il treno fa cagare uguale. Ascolto i Modena e guardo dal finestrino. Viti, ortaggi, ulivi, mare. Casette di campagna. E poi i soliti tralicci dell’ENEL. Seguo il movimento dei grossi cavi con gli occhi e muovo un po’ la testa per non interrompere lo sguardo.

Alle spalle un palazzo di città popolato da trogloditi e subumani, da un potere sempre più arrogante e presuntuoso, da compagni sempre più lontani, sempre più uguali a quegli altri. Alle spalle una risata ed una pisciata del potere sulle facce di tutti i malati di speranza.

Mi allontano da qui e torno dai turisti mai stanchi, dalle trattorie e pizzerie sempre in attività, dai mattoni e dalle chianche plurisecolari. Torno dove arte e cultura seducono il più fedele degli ignavi. Torno dove il colore dei volti e la forma dei sorrisi sorprende per naturalezza e bellezza. Nemmeno Tolkien poteva immaginare una più splendida città: la città eterna. Ma Roma non è la mia città.

giovedì, giugno 19, 2008

MAL di MERITO


Non prendo mai per oro colato quello che leggo, quello che ascolto. Sono critico, spesso polemico. Un po’ Bastian contrario. Non è una questione di stile o di estetica comportamentale. Forse è perché sono perennemente alla ricerca di “un centro di gravità permanente (che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente)”, che diffido (o cerco di diffidare) dalle facili guide e dalle idee messianiche. Non sempre ci riesco, ma in generale non mi fido, perché non riesco mai ad abbinare a idee, persone, ecc… quell’aggettivo: permanente. Tutto, sempre, inesorabilmente, cambia. Questo rende insicuri, ma anche “affamati”: mai fermi, sempre in ricerca.

Beh, di tanto in tanto, però, trovi qualcosa che se non altro ti aiuta a capire. Per esempio Andrea, mio ex collega di BNL (dove ho fatto uno stage finito tre mesi fa), che intuiva, ma non capiva la mia fame, la mia ricerca, seppur silenziosa, mi ha regalato per Natale due libri: la Casta e Mal di merito, di Giovanni Floris. E’ del secondo che voglio parlare (del primo, che non ho letto, ha già parlato tanto la TV). Iniziai a leggerlo, ma preso da conati di vomito (per rabbia e per bruciori di culo) lo abbandonai. Finché Roma (la Roma metropoli e la Roma Capitale) non è passata alle amorevoli attenzioni del Popolo delle libertà, che ha sconfitto l’ecumenico Walter (proposto dagli ex missini “Santo subito”) e, peggio, ha schiacciato tutta la sinistra colorata fuori dal parlamento. Nella mia Molfetta, invece, per pura sfortuna – prrrrr – il centrosinistra non si è nemmeno presentato. O meglio, il PD era in coalizione con una variegata rappresentanza del genere umano, in tutto lo splendore della sua linea evolutiva – dal primate, all’homo sapiens et callidus –. Conservatori, trasformisti e facce di culo, insomma. Nel frattempo, mentre facevo i conti con l’affitto e sperimentavo sempre più la pasta in bianco (tanto l’olio lo porto da giù), c’era chi aveva già trovato il modo giusto – la porta giusta, la chiave giusta, l’inclinazione giusta (90), – per sistemarsi, far carriera, fare soldi, fare business, intraprendere la professione, provare a se stesso e alla propria famiglia di essere un uomo vero, che sa convivere con il potere (a Roma, come a Molfetta). Ma i più, quel modo giusto non lo trovano (anche quando lo cercano).

Mal di Merito è un libro che ti dà conforto. Non perché chissà quale trucco ti insegni per essere felice, ma perché, semplicemente, ti dà ragione. Insomma, voglio dire: a chi rode accorgersi quanto sia frequente la fortuna immeritata (leggi spintarella) e quanto la sfortuna subita (leggi scegliere di tenere la schiena dritta), Floris dice, semplicemente: hai ragione ad essere incazzato. Mal di merito non è un libro né di destra, né di sinistra. Non è un libro con una formula magica. Non è nemmeno esattamente una mappa delle raccomandazioni in Italia, né il solito libro ruffiano, che si accattiva il lettore con i luoghi comuni. Le schifezze dell’Italia non sono luoghi comuni, anche se producono assuefazione. E’ normale, tutto normale, perché l’Italia è immobile (sicuramente più immobile degli altri Paesi occidentali). L’Italia dei baroni e dei vecchiacci, l’Italia dei leccaculo e dei portaborse, l’Italia della staticità sociale, l’Italia dell’amarezza e della delusione, l’Italia di quell’immenso sottobosco di persone in lotta per la sopravvivenza, sotto l’ascella di qualche don Rodrigo o, peggio, di fianco a qualche don Abbondio. L’Italia delle raccomandazioni. Ma nonostante questo Mal di merito è un libro di speranza, che dà coraggio. Con me ci è riuscito, Floris.

Mal di merito è semplicemente un libro fatto bene, che parla di noi, della nostra casa e della nostra vita. A parte la curatissima ricerca di contenuti, aneddoti e motivazioni che ci sta dietro, il lavoro è impostato in modo da farti venire voglia di dire ad un destino già scritto sulla pietra dai baroni (di ogni genere e tipo, in ogni campo delle attività umane) e dalla consuetudine (abitudine, rassegnazione, impotenza): “‘fanculo! Con me perdete la partita”. Ti viene voglia di vincere la partita, senza piegarsi e senza barare. Senza barare. Perché ogni volta che accade (una vittoria senza barare), qualcosa si inceppa negli ingranaggi di questa grande macchina della sospensione del tempo: l’Italia dove “tutto cambia per non cambiare”.

Be’, se posso suggerire un libro da leggere, subito, senza perdere altro tempo, vi consiglio questo. Se ne esce incazzati e intristiti, ma anche arricchiti e temprati. E dopo la lettura della prima appendice (un estratto dell'intervento di Steve Jobs ai laureati 2005 di Stanford. Straordinaria la storia sull'unire i puntini), ci si sente anche un po’ “eroi”, come Luigi delle Bicocche, ma con delle prospettive da voler disegnare d’avanti. L’importante è non demordere.

Stay Hungry. Stay Foolish.

CLICK

Su ON

Dopo due anni di apnea sento l'esigenza di respirare. Non voglio riemergere. Questo no. Voglio solo portare la bocca a pelo d'acqua. Avevo dimenticato di avere un blog. Ho deciso di riprendere a scrivere. E a confrontarmi.

Molte cose sono cambiate per me. Ora vivo a Roma, faccio un lavoro che mi piace, sopravvivo in un habitat molto diverso da quello che ho conosciuto per trent'anni.
Altre cose, invece, non sono cambiate: la disaffezione per la politica (per la cosa pubblica) della “gente comune” è sempre più allarmante; cresce la frustrazione e il senso di impotenza delle persone oneste, malate di speranza. Inoltre abbiamo perso le elezioni nella mia città. Un po' patetico, ma... è quello che vedo. Che palle, ma è quello che sento.
Non ne ho idea di quale reazione sia giusto avere.
L'unica cosa che so è che ho schiacciato ON sul mio megafono libero. E per questo mi sento meglio.

Rispetto a prima ho meno idee e molto più confuse (cazzarola... non ho resistito... La eco dei miti, sebbene un po’ deformino le voci originarie, non si assopiscono facilmente: grazie Faber). Sono più insicuro. Perché consapevolmente più precario e meno sereno. Perché più consapevole.
Stare zitti in Italia gratifica. Annuire sempre, invece, premia. D'altronde chi è d'accordo con un interlocutore crea una linea di empatia con esso. Anzi, di simpatia: se dici sempre di sì, sei simpatico, non ci prendiamo per il culo. Be’… io sono fondamentalmente antipatico. Non che ne sia contento, sia chiaro. Peraltro non credo di esserlo sempre. Almeno lo spero. Per esempio quando bevo divento simpatico (vero Claudio? vero Max?). Però è vero che sono pesante, come dice Lory. Anche se io mi sento leggero. Anzi leggerissimo. Senza responsabilità, come l’italiano medio. E’ questa inquietudine che mi fa da zavorra. Ed i miei movimenti bruschi e scoordinati per divincolarmi da questa zavorra mi fanno stare ancora più sotto (il pelo dell’acqua). Così ho deciso di tacere. Per tanto tempo.

Un giorno, un Natale, eravamo una quarantina nel sotterraneo della indimenticabile campagna di Roberto. Avevamo bevuto tutti (vino rosso e bianco nelle damigiane e altra roba come whisky e forse sambuca), eravamo allegri. Forse felici. Ad un certo punto scese giù dalla rampa di accesso Willy, il bellissimo cane di Roberto. Ormai è molto invecchiato, ma al tempo dei fatti era davvero… espansivo (chiedetelo a Giovanni e alla sua caviglia). Le ragazze – e non solo loro – cominciarono a strillare. In pochi secondi fu panico. Poi ad un certo punto Nuccio prese in mano la situazione e imponente tuonò: “Zitti! Non vi muovete”. Poi spiegò, un po’ meno imperioso: “I cani sentono l’odore dell’adrenalina”. … attimi di silenzio … pochi attimi … Poi tutti cominciarono a ridere a crepapelle (anche Nuccio, che continua tuttora a difendere la sua tesi. Noi gli vogliamo bene, anche se ormai non ci si vede quasi più).

Be’, di fatto se corri quando una muta di cani ti sta gironzolando vicino… è finita. Io, per precauzione ho seguito il suggerimento di Nuccio: non mi sono mosso e nessuno ha sentito l’odore dell’adrenalina. Silenzio. Senza dire sì a nessuno. E senza dire grazie. Zitto. Via. A seguire una nuova strada. Da 0. Nonostante la terra chiami. Nonostante gli affetti, gli amici. Lontano e silenzioso, sotto il pelo dell’acqua.

Però adesso faccio click su ON. Ho riacceso il megafono.