domenica, ottobre 15, 2006

Tutti lo pensano e nessuno lo dice...

Contributo politico ai Democratici di sinistra in occasione della conferenza di organizzazione


Prima di cominciare vorrei precisare i motivi di questo mio scritto. Come molti sapranno ritenevo assolutamente necessario celebrare un congresso vero e proprio che segnasse la nuova fase della politica cittadina, discutesse laicamente, sgombrando il campo da ogni sospetto di autoreferenzialità, sui motivi della sconfitta elettorale – che talvolta temo non abbia scosso più di tanto la classe dirigente del centro sinistra – e rinnovasse l’elaborazione del partito (e non necessariamente anche il gruppo dirigente, che probabilmente ha temuto la propria delegittimazione).

La volontà del gruppo dirigente andava in direzione diversa, ritenendo superfluo un momento di discussione a 360° sui destini del partito e di tutto il centrosinistra, ritenendo la strada da percorrere “self-evident”, almeno fino al prossimo congresso nazionale.

Nel frattempo nel partito si era prodotta una situazione di spiacevole pesantezza per il sottoscritto… L’apice si è avuto in occasione dell’organizzazione della festa de l’Unità e sulla “questione Sinistra giovanile”.

La mia volontà era chiara già dal 25 giugno di quest’anno, quando rassegnai le mie dimissioni da membro del Consiglio Direttivo. Le cose che scrissi allora sono state mistificate in più di un’occasione e autorevoli membri del partito le hanno giudicate alla stregua di uno sfogo per non aver accettato la mia presunta sconfitta elettorale (191 preferenze, senza quaterne e con un numero di candidati che superava i 700).

Questa relazione, quindi, ha lo scopo di fare chiarezza sul mio pensiero, rivolto sin dal primo momento dopo le elezioni ad una prospettiva politica diversa e certamente più faticosa da costruire. Analizzerò per sommi capi le cause della debolezza del centro sinistra ed il percorso che mi auguro il partito imbocchi per modificare i rapporti di forza politici, economici e sociali nella città. Per sommi capi, ma senza dovermi attenere ai tempi europei – più che funzionali in una struttura organizzata con un poderoso apparato di commissioni – e senza per questo infastidire quanti non sono interessati al mio pensiero.

Quindi, tranquillizzo tutti: non è in atto nessun assalto alla “dirigenza”, non c’è nessun piano segreto per sottrarre la sedia a qualcuno. Nella speranza che le voci fuori dal coro – come la mia – non siano per ciò stesso considerate sgradevoli seccature e stigmatizzate come scorrette perché ree di lesa maestà, tenterò di tenermi su un piano esclusivamente politico. Ho tentato in tutti i modi di discutere di questo negli anni precedenti e nelle settimane immediatamente successive alla sconfitta elettorale, ma non è stato mai possibile. Lo faccio ora, dopo aver lasciato questo gruppo dirigente che si autolegittima in una conferenza di organizzazione e la politica attiva, privato di quasi ogni entusiasmo e speranza di cambiamento. Anche i più maligni leggeranno in queste poche pagine molte teorie che ho tentato di sostenere e praticare nei miei ultimi sei anni di appassionante militanza politica. A chi mi dice che da fuori non si cambiano le cose rispondo che è vero, ma in questo partito non si cambiano nemmeno dall’interno.


Molfetta Oggi

Molfetta sta vivendo una delle maggiori crisi socioeconomiche della sua storia. L’indicatore che salta subito all’occhio in questi giorni è quello della criminalità. Per molti aspetti stiamo vivendo una situazione simile a quella di quindici anni fa, quando il disagio sociale si era manifestato con il volto più violento. Problemi vecchi – che avevamo semplicemente messo sotto lo zerbino (vedi operazione Reset) – e nuovi si intrecciano per destabilizzare ulteriormente quell’incerto equilibrio raggiunto nel decennio precedente. E’ evidente che per neutralizzare l’ondata di violenza ed illegalità non basti liberare la piazza dai piccoli e grandi criminali che l’affollano. L’escalation di violenza, a mio parere, non è destinata ad arrestarsi nel breve periodo se non verranno fornite risposte sociali, culturali e, naturalmente, economiche, più solide e convincenti.

Premesso che non è questa la sede per esaminare nel dettaglio la situazione economica della città – esame assolutamente necessario e da considerare costantemente in progress, mai esaurito, sempre da perfezionare e da eseguire senza essere schiavi di paradigmi preconfezionati (ad esempio lo sviluppismo senza se e senza ma o la riconversione del nulla in un nulla più bello) – vale la pena di sottolineare come Molfetta necessiti di un’idea coerente e condivisa di sviluppo. Gli attori dovrebbero immediatamente imboccare una strada di cooperazione percepita dalla popolazione come vincente. Il regime della paura e dell’incertezza è un deterrente drammaticamente efficace contro lo sviluppo e la pace sociale.

Per far questo occorre consapevolezza. Gli attori devono sapere cosa stanno facendo con uno sguardo molto più attento alla visione d’insieme e non concentrato esclusivamente sui propri affari (siano questi i business individuali dei nostri piccoli imprenditori, dei commercianti e degli artigiani, o la bagarre amministrativa, con le relative sfide elettorali). Un processo economico che renda virtuosi i risultati degli attori economici (e li ridistribuisca in qualche modo sotto forma di benessere collettivo) non è possibile senza la maturazione di una dimensione più collettiva degli attori. L’esempio del cartello dei commercianti del centro urbano esplica bene come la paura (a quanto pare infondata) del Fashion District abbia coagulato l’impegno di un’intera categoria, quella degli esercenti, già mobilitata con le giuste politiche del centrosinistra nello scorso decennio, ma mai così attiva. Lo stesso processo dovrebbe avvenire per la zona PIP e ASI, naturalmente con targets e strumenti differenti. Idem per gli operatori turistici, per la pesca, per l’agricoltura. Lo stesso tipo di esigenza si mimetizza nel mondo mutevole ed assai eterogeneo del lavoro.

Ma perché la politica possa tentare di guidare questi processi, invertendo l’attuale trend, caotico e fortemente pernicioso per il territorio, l’economia locale e per l’intera comunità, deve essere capace di interloquire con gli attori, avere contatti con essi, capire e rappresentare le loro istanze, riportandole su binari di interesse collettivo, collaborare con loro, progettando una città migliore, rendere loro possibile una partecipazione autentica. Fare politica eludendo questo compito significa rendere la politica poco più di uno scontro tra tifoserie, con l’allettante aggiunta della possibilità di distribuirsi prima o poi qualche posto a sedere. Nulla di tutto questo è stato fatto nei 5 anni che hanno preceduto le elezioni dello scorso maggio. Ad esclusione di un timido ed isolato lavoro di raccordo con la CGIL e con il mondo del Mercato Ortofrutticolo.

Lascio immaginare al paziente lettore che tipo di credibilità – e che conoscenza e capacità di rappresentare bisogni – abbia un partito ed una coalizione in prossimità delle elezioni nei riguardi di soggetti collettivi e categorie che ha ignorato negli anni precedenti. Spesso ci siamo avvalsi di tuttologi per disegnare gli scenari futuri della città. Forse è il caso di cominciare, con maggiore umiltà e senso critico, a percorrere una strada diversa. D'altronde l’unico partito di centrosinistra, protagonista dell’esperienza amministrativa dello scorso decennio, che ha imparato ad entrare in contatto con questi mondi – la mia è una constatazione che non vuole giudicare l’offerta politica, ma registra una relazione necessaria – è la Margherita. Detta in maniera più brutale, senza essere mai schiavi di alcuna lobby, i soggetti politici e le classi dirigenti non hanno la possibilità di scegliere se entrare in contatto o meno con il mondo che vogliono amministrare e governare, se non cambiare (ambizione troppo radicale, forse): lo devono fare e basta. Per farlo ne devono essere capaci e devono dimostrare di esserlo costantemente. Il centro destra ha un problema in meno: non si pone la questione dell’interesse collettivo o la ritiene assolutamente secondaria rispetto all’interesse particolare dei portatori di voti. Per il resto il centrodestra ha una condotta esemplare.

I risultati elettorali sono sotto gli occhi di quasi tutti.

L’autoreferenzialità di tutto il centrosinistra è una sciagura di portata biblica. Essa è la prima e vera causa delle nostre sconfitte socioeconomiche, prima che elettorali. Il centro sinistra, con il suo impareggiabile – almeno nell’ultimo decennio – spessore politico ed intellettuale, è e rimarrà assolutamente subalterno a tutti i pezzi di ceto politico immorale ed affarista che stanno devastando la nostra città… la città dei vostri figli. Le cavallette andranno via solo quando avranno mangiato tutto il raccolto, se noi rimarremo chiusi al sicuro nelle nostre certezze etiche e politiche.


La base sociale e la questione del radicamento

Ho sempre ritenuto, e per questo talvolta sono stato persino deriso (perché troppo petulante e ripetitivo), che il nostro partito fosse privo di radicamento nella città. Come ho più volte ripetuto il radicamento che si deve prefigurare ai giorni d’oggi non può e non deve essere lo stesso di trent’anni fa. Aggiungo che non deve essere nemmeno un suo surrogato. Oggi i corpi intermedi a livello locale, però, non possono prescindere dalla costruzione di un filo diretto con pezzi di città e singoli cittadini di cui intendono interpretare i bisogni e la domanda politica. Nel mondo del lavoro, prima di tutto, ma anche in quello del “non lavoro”, dei deboli e nel mondo della cultura, del volontariato, dei giovani. Non penso minimamente che sia un lavoro facile. Ma ritengo che sia necessario. Mi pare davvero sgradevole chiedere un aiuto a sostenere le nostre idee ed i nostri candidati alle elezioni dopo che per anni non ci siamo mai preoccupati di entrare in contatto con loro, di far conoscere le nostre facce, il nostro impegno politico (e figuriamoci se ne abbiamo tutelato gli interessi).

Se potessimo virtualmente dividere la popolazione in categorie sociali, ci renderemmo conto di come i nostri margini di espansione – sotto il profilo elettorale – con l’attuale offerta politica sono ristretti in ambiti molto angusti, se si evita di considerare l’annessione di pezzi di elettorato da partiti limitrofi (il che è comunque positivo) come una vittoria politica sufficiente. I DS (come la Margherita) hanno un appeal molto maggiore nei confronti di una certa parte del ceto medio. Ma il ceto medio molfettese è molto vasto ed eterogeneo. Una parte considerevole di esso, infatti, pur vivendo una condizione economica dignitosa, è molto più attratto dall’offerta politica affaristica di pezzi di centrodestra o di pseudopolitici autonomi, privi di scrupoli ideologici. Spesso subentrano anche dinamiche clientelari (ma non sempre).

Si aggiungano due elementi nell’analisi. Il primo è che la riproduzione culturale, propagandata soprattutto dagli attuali mezzi di comunicazione di massa, educa la popolazione ad un sempre maggiore individualismo e disinteresse alla categoria del collettivo. La seconda è che larga parte dei ceti medi molfettesi stanno subendo un lento scivolamento verso una condizione di sempre minore benessere. Vuoi per problemi generazionali (i figli del ceto medio trovano lavoro? Quale? Dove?), vuoi per riduzione del valore di guadagni, salari e cespiti di altro genere (mancando, peraltro, una cultura imprenditoriale si producono più facilmente dinamiche di sopravvivenza a fronte di modelli culturali che promuovono consumi oltre la portata della popolazione). Questo disagio non trova risposte coerenti nell’offerta del centrosinistra. O, meglio, non le percepisce in alcun modo. Non le percepirà mai da un comunicato stampa e, forse, nemmeno da un manifesto. Il consenso di questi cittadini lo raccoglieranno altri, per esempio coloro i quali si è esclusi dalla nostra coalizione attraverso il “patto etico”, salvo poi tentare una disperata quanto inutile alleanza alla vigilia del secondo turno. Io ero tra quelli che sostenevano questo contatto, ma non con i crismi individuati nella contrattazione successiva.

Più il livello sociale si abbassa, meno possibilità abbiamo di conoscere, capire e dare risposte ai problemi ed alle esigenze (spesso esigenze vitali: lavoro e diritti in primis) dei cittadini. C’è chi con lo sfruttamento dei deboli e dell’ignoranza fa le proprie fortune economiche e politiche. Noi lasciamo che questo accada, limitandoci a stigmatizzare tali comportamenti. Mantenendo una incrollabile estraneità ai bisogni del popolo. Fare politica per il popolo, naturalmente, non è fare demagogia e costruire similarmente “clientele rosse”. Fare politiche per e con il popolo significa cominciare a non essere più dei perfetti sconosciuti, convinti di avere la verità in tasta, significa scendere nell’inferno della vita quotidiana delle centinaia di cittadini e cittadine che vivono nel bisogno, dare loro un supporto, rendersi disponibili a capirne i problemi, difenderli dalle ingiustizie amministrative e sociali. Fare politica con e per il popolo significa spiegare loro le nostre proposte, non aspettare che essi si informino leggendo giornali o manifesti chilometrici. Fare politica con e per il popolo significa coinvolgere il popolo nella vita politica, nel ragionamento attorno alla cosa pubblica, rendendo chiaro come l’interesse collettivo ricade a cascata su di loro, sotto forma di interesse individuale.

Per farlo non basta l’angolo visuale attuale dei DS di Molfetta. Per farlo occorre un partito popolare moderno e sagace, che ponga al centro del suo ragionamento questo impegno e non un’overdose di tatticismi per conquistare la leadership della coalizione. La leadership della coalizione la si conquista sul campo, sui problemi, sulle soluzioni. Il mio impegno al servizio del partito in questi anni mi ha condotto ingenuamente (visto che oggi mi è stato persino rinfacciato, come se non avessi mai posto le questioni di cui sto trattando) a scegliere una linea che prediligesse il dialogo e la collaborazione alle spaccature. Il risultato è stato deprimente. Ogni pensiero ed ogni forza nel partito sono stati assorbiti nelle anguste dinamiche politiciste, rispetto alle quali pare non sia possibile trovare delle cause credibili della sconfitta, se non accusare i politicismi di altri, non ritenuti più all’altezza di dettare politicismi per tutti.


L’organizzazione del partito

Ho sempre ritenuto il modello organizzativo dei DS bizzarro, ma per quieto vivere, convinto anche da altri compagni, non ne ho fatto una questione di stato. In occasione dell’ultimo congresso emerse da più parti l’esigenza di formare una segreteria (io la ritenevo una cosa assolutamente necessaria, soprattutto in considerazione della ingente mole di impegni del segretario Mino Salvemini, il quale aveva precisato, sin dal primo momento, di non potersi occupare appieno delle questioni organizzative del partito), ma in seguito ad una violenta – e sproporzionata, ma questa non è mai stata una novità nei DS – discussione si decise di accontentare quanti non volevano segreterie. Leggo con favorevole sorpresa che è intendimento del gruppo dirigente attuale formarne una, in occasione della conferenza di organizzazione. Ma quella della segreteria non era l’unica anomalia. Ve ne erano almeno altre due gravi.

L’impossibilità del segretario di occuparsi al 100% delle questioni organizzative del partito, come da lui palesemente espresso in più di un’occasione, ha comportato la sostituzione dello stesso con il Presidente dei Garanti in tutta la lunga fase di trattative pre-elettorali. La grottesca anomalia risiede nel fatto che il Collegio dei garanti riveste un ruolo di garanzia all’interno della sezione. Non trattasi di cariche politiche. Pongo questa questione, soprattutto in seguito ad alcuni episodi che mi pare non abbiano brillato per imparzialità e tutela delle funzioni di garanzia.

In secondo luogo spesso ai direttivi ed alle riunioni venivano convocati esclusivamente alcuni compagni. Erano costantemente esclusi da ogni comunicazione riguardante la vita di partito tutti i compagni della Sinistra giovanile; affidando solo alcune volte al sottoscritto – anche quando fu fatto presente di non averne più né autorità, né possibilità – il compito di contattare di tanto in tanto i giovani compagni, perlopiù in occasione di lavori manuali da svolgere.

Ma il “caso Molfetta” ha sempre posseduto dei caratteri di spiccata originalità. In primo luogo per il tesseramento. Purtroppo tutti i compagni (non tantissimi) che personalmente portavo al partito difficilmente hanno resistito più di un anno. Molti per motivi di lavoro, altri perché partiti a cercar fortuna altrove, i rimanenti per una graduale riduzione dell’interesse alla vita di partito (diciamo così). Sono convinto che tutti i compagni sappiano che l’obiettivo non sia arrivare a 200 tessere dopo le elezioni, ma mantenerne 100 per il 2007. Almeno è quello che io spero. Ma a chi mi dice che il risultato elettorale di maggio abbia segnato una nuova fase politica per il partito io mi permetto di ricordare il dato ben più significativo del ’98 e la successiva debacle del 2001. Così come ricordo, prima di tutto a me stesso, che la vita di un partito (e la capacità di incidere nella società) non si esaurisce nelle campagne elettorali.

Personalmente ritengo opportuno cambiare sede e spostarsi in luoghi più vicini al “popolo”, organizzare la sezione in modo che i cittadini possano incontrare il partito per discutere dei problemi amministrativi ed economici che li affliggono, realizzare un valido ed accattivante portale internet che renda possibile un contatto diretto con quanti frequentano il web (a patto che non divenga l’unico strumento di comunicazione). Reputo assai positiva l’integrazione del direttivo con i compagni sacrificati in lista in questa tornata elettorale (nella viva speranza che non vengano prosciugati come è successo a me).

Ritengo, inoltre, indispensabile che del direttivo facciano parte soprattutto persone appartenenti al mondo del lavoro, delle professioni, delle associazioni, del volontariato che vivono e conoscono la città. Occorre costruire un direttivo che sia rappresentativo del contesto in cui vorremmo operare. Spero che le “quote rosa” vengano rispettate, ma non solo per una questione numerica: mi auguro che le donne siano presenti e rappresentative del mondo femminile cittadino, a cominciare dalla consulta femminile. Costituire un direttivo dovrebbe essere importante quanto – se non di più – fare una lista per le amministrative. Almeno questo è il mio pensiero.


I tatticismi e le responsabilità

Come ho più volte ribadito mi assumo la responsabilità delle cose fatte. Quelle giuste e quelle no. Le mie dimissioni nascevano soprattutto dall’esigenza di discutere con serenità della linea politica adottata e dei suoi (ahimè) prevedibili risultati. Vorrei fare chiarezza su questo. Sono ancora fermamente convinto che i DS debbano essere il partito della democrazia e della cittadinanza attiva e rivendico come gruppo dirigente il fatto di aver messo al centro dell’agenda politica la questione. Ma proprio perché ci credo tuttora non mi accontento dei risultati miseri ottenuti nell’ultimo anno in termini di partecipazione. Alle nostre iniziative, non considerando i curiosi che intervenivano solo alle “prime”, hanno partecipato solo addetti ai lavori del mondo politico e pochi altri.

Come dicevo prima, ritengo fondamentale far entrare nelle fibre della nostra città un progetto politico e sociale credibile e condiviso. Il nostro impegno non è stato sufficiente. Per sgombrare il campo da qualsiasi insinuazione di giudizio preconcetto voglio sottolineare che ritengo assolutamente irrinunciabile questa strada. Ma per rendere gli sforzi efficaci occorre costruire quelle relazioni di cui si diceva prima con i mondi dell’economia e del lavoro che sinora sono stati estranei a questo tipo di rapporto, o che hanno avuto interlocutori privilegiati con intenzioni differenti alle nostre. Senza l’apporto di questi pezzi la nostra idea non sarà né condivisa, né vincente.

Per le primarie, invece, vorrei dire qualcosa di più. Credo sia stata un’operazione di alto livello politico non solo fare le primarie, ma anche condurre la coalizione ad accettarle. L’esito non era scontato. Dal primo momento ho espresso le mie congratulazioni a Mimmo Favuzzi, il Presidente del Collegio dei Garanti, delegato dei DS nella trattativa, per aver condotto tanto abilmente la contrattazione. Purtroppo non si è riusciti a definire regole del gioco più efficienti ed efficaci (conditio sine qua non per qualsiasi altro tipo di consultazioni primarie). E’ evidente, tuttavia, che messa la firma sul documento per le primarie e sul patto etico non era più possibile tornare indietro. Tutte le votazioni fatte nell’assemblea erano superflue (ma è un bene averle fatte) perché i DS non potevano certo tirarsi indietro. Le regole, come sappiamo e abbiamo dimostrato abbondantemente, si rispettano.

A distanza di mesi da quell’esperienza, però, ritengo occorra una riflessione serena sull’accaduto. Le primarie, i forum e persino le segreterie di partito sono tutti strumenti, non sono fini. Ritengo d’aver io per primo confuso questa distinzione. Abbiamo fatto male i conti, abbiamo sbagliato. Lo strumento ci ha allontanato dai fini. Siamo stati troppo presuntuosi. Abbiamo rischiato e abbiamo perso. Sono convinto di interpretare il sentire di molti cittadini in questo. Personalmente, peraltro, temo che questo strumento possa essere interpretato come scorciatoia verso un’organizzazione della politica all’americana, più che come momento di partecipazione vero e proprio, rielaborato in chiave meridionale, contestualizzandolo nella realtà delle nostre città di famiglie numerose e di flussi elettorali controllabili. Anche in questo caso, tuttavia, una discussione antecedente e la predisposizione di regole più efficaci in tempi diversi (due o tre anni prima) avrebbero determinato esiti diversi. Mi convinco sempre più che un partito serio lavora alacremente non solo l’anno prima delle elezioni. Un partito vero esiste sempre. Anche un partito leggero (che, non sfugga a nessuno, ha fondi tali da permettersi una presenza sul territorio estremamente capillare attraverso mass media e convention, ma sempre presente).

Il gruppo dirigente di cui facevo parte ha fallito – ed io con esso – anche perché ha fatto la politica del tempo libero (il che non diminuisce il sacrificio di nessuno). Ogni spazio vuoto in politica viene occupato da qualcun altro. Noi ci siamo mossi facendoci largo tra le caselle occupate da altri. Non credo che il mio pensiero sia scandaloso ed irricevibile. Chiedevo di discuterne, esprimendo il mio disagio per quanto accaduto (staremo altri 5 anni all’opposizione!). Non percepivo il mio stesso sentimento attorno a me. Anzi… Ho pensato che sarebbe stato più facile vincere le comunali per le prossime 3 tornate, che registrare una presa di coscienza del gruppo dirigente. Probabilmente le cause della sconfitta non sono quelle individuate da me. E con grande probabilità la strada da percorrere non è quella da me indicata. Ma ho sperato fino all’ultimo che ci fosse un vento di novità a Molfetta. Non è ancora il tempo. Ho provato a discuterne in ogni modo, ma non ci sono riuscito. Provi ora chi è più bravo di me. Buona fortuna: ce ne sarà bisogno.

Corrado Minervini

sabato, giugno 17, 2006

radical chic? no grazie!

Questo risultato fa rabbia. Per tanti motivi. Fa rabbia soprattutto perché giunge al termine di una lunga e faticosissima stagione di iniziativa politica e sociale, che le forze progressiste hanno messo in campo in questi anni. Opposizione nel Paese e nella città. Opposizione dura in Consiglio Comunale. Anche se in questi anni il partito molto spesso è stato impegnato a fare altro.

Ma era un risultato assolutamente prevedibile. A pensarci bene era un risultato già scritto come quello del 4 dicembre (diversamente da quello che io per primo avevo pensato e sperato). Non sono bastati i sacrifici, le discussioni, le idee, i progetti, la nostra comunicazione impeccabile -- nonché le speranze vane in un exploit elettorale del centrosinistra e dei DS -- ad arrestare la furia famelica dei ronzini di razza del centrodestra. Ronzini volgari, ignoranti e talvolta anche stupidi. Cavalli, però, che sanno correre.

Spadavecchia Giacomo 543
la Grasta Giulio 535
Sgherza Giuseppe 434 (sostenuto da palmiotti)
Picaro Piera 430
Minuto Anna Carmela 730
Spadavecchia Enzo 592
Pino Amato 999 voti
Tammacco Saverio 583
FI nel '98 prende 4000 voti -- 6783 nel 2001 -- 6481 (senza Rafanelli e
Palmiotti in lista) alle comunali.

Le politiche sono state il momento della verità.

FI:10.705 voti al senato -- 2440 AN -- 1580 UDc
Nel paese si consumava una delle più tristi pagine della storia della Repubblica con la vittoria di rapina delle forze progressiste, minoritarie nel Paese e maggioranza assai esigua in Parlamento. Il Paese diviso in due tra coglioni e dritti (?!?). Cosa ci faceva pensare che alle comunali il risultato si sarebbe ribaltato? Più volte sono stato ripreso per la mia aria troppo tesa e preoccupata. Ma non sarà stata certo la mia "negatività" ad averci fatto perdere. Almeno credo.

Per capire il risultato delle comunali (ma non solo) non basta più l'aritmetica, né tanto meno un approccio politicista. Ancor meno uno giacobino. Non mi interessano i capri espiatori. Non li cercherò. Pur sapendo che molti errori tattici e strategici sono stati commessi, anche dai DS (di cui non rinnego la linea politica degli ultimi mesi).

Il problema è politico-sociale. E l'analisi non può che soffermarsi su questo. Guardo dentro casa prima di guardare fuori. Il blocco del centrosinistra a Molfetta, come si evince chiaramente dai dati, non subisce mai, da una quindicina d'anni, sostanziali variazioni. Flussi elettorali più o meno occasionali rigenerano -- o impoveriscono -- la nostra capacità di raccogliere consenso, ma non ci sono spostamenti sensibili -- sotto il profilo politico e sociale. La dislocazione del voto sulla cartina di Molfetta la dice lunga. Il nostro elettorato -- e quello dei DS in particolare -- è costituito prevalentemente da ceti abbienti, liberati dal bisogno, culturalmente elevati. Si tratta del ceto medio riflessivo, in parte -- solo in parte -- del proletariato intellettuale, oltre ad uno zoccolo duro di attivisti, militanti ed addetti ai lavori di vario genere.

Partiamo da un dato: la composizione sociale della città di Molfetta non è destinata a mutare nei prossimi anni (almeno non in favore del nostro "elettorato classico"). Non è destinata a mutare, di conseguenza,
nemmeno la propensione al voto dei molfettesi. Su questa strada continueremo a girare a vuoto, a galleggiare forti dei sacrifici di pochi (a proposito, Mino, ancora in bocca al lupo), senza raggiungere MAI risultati reali, che non siano una poltroncina ogni tanto.

I cittadini Molfettesi -- e per cittadini molfettesi, scusate, intendo persone con volti, abiti e modi di comunicare spesso molto differenti dai nostri. Parlo dei volti dei lavoratori o dei disoccupati di ponente; delle persone comuni che non svolgono lavori di concetto, che non sono scolarizzati, che vivono di luoghi comuni e vengono educati dai canali
di Mediaset; di coloro i quali potrebbero fare tranquillamente le comparse in "Comizi d'Amore" o in "Uccellacci Uccellini", che aspettano il pomeriggio per vedere "Uomini e donne", "Amici" e la sera per vedere "la Talpa", "l'isola dei Trimoni" e il "Grande Fratello"; di quelli che non hanno ideali e che non leggono libri e giornali; di quelli che fanno
i camerieri, i commessi, o i muratori. Parlo di quelli che confondono la data su una carta dell'INPS per somme da pagare... -- non ci capiscono, non ci hanno mai capito e non capiranno mai il nostro linguaggio. Non
leggeranno i nostri manifesti, ci considereranno esattamente come gli altri, chiederanno qualcosa in cambio per concederci il consenso.

Per i giovani la situazione è ancora più grave e deprimente. Anche quelli che fanno finta di studiare interpretano al meglio la cultura utilitarista e opportunista del mercato. Do ut des. Non c'è altro se non il proprio interesse immediato. Tutto il resto è complicato, ciò che è complicato, che non è immediato è lontano. Se una cosa è lontana è nemica. Come l'arabo, il povero, il diverso...

Evoglia a scrivere sulle mailing list, sui blog (anche io ne ho uno che forse tra un po' riprendo a curare), sulle chat... evoglia a gridare a chi ce l'ha più lungo... evòòò. Uegniè: Piumino e MUSO SPORCO diventano ASSESSORI e Mr 999 ancora Presidente del Consiglio, mentre in Consiglio le nuove generazioni saranno rappresentate dalla figghie d cur du Bar Stallone (e da Dj Lele Sgerza). Il processo degenerativo della società produce questa classe dirigente e noi... o ci attrezziamo per invertire la tendenza o continueremo a parlarci addosso, da bravi Radical Chic. A volte avvoltoi, a volte picchi, a volte gufi...

Corrado

lunedì, giugno 12, 2006

Sottoscrivi?

Penso di meritare di più. Amo la mia città, i miei amici, la mia famiglia ed è qui che voglio trovare le risposte alle mie esigenze. Con le mie forze, con la mia testa. Non voglio chiedere piaceri a nessuno, non voglio favori da nessuno. Voglio solo poter essere autonomo, poter scegliere. Voglio opportunità. Senza dover per questo conoscere la “persona giusta”. Quella che sa aprire le porte chiuse. Nel lavoro, nella scuola, all’università, con gli amici. Vorrei che le cose avessero il giusto valore. Non sopporto – non le sopporto davvero più – le promesse elettorali. Non baratto la mia dignità. Se non lavoro, se devo tenere i miei sogni chiusi, sigillati nel cassetto non dipende da me. Se sarò costretto anch’io a partire per farmi un futuro non sarà dipeso da me, non l’avrò chiesto io: ci sarò stato costretto. Se la mia città è spenta, non è colpa mia; se il cemento ci esce anche dalle orecchie non l’ho voluto certo io; se l’estate non c’è niente da fare e nelle città vicine c’è musica fino a notte fonda che volete da me? Non è colpa mia se devo uscire ogni sabato per andare a vedere un concerto o a ballare. Non dipende da me se dopo tredici anni di scuola, più l’eventuale università, devo pregare dietro la porta di qualcuno per trovare lavoro. O, appunto, devo partire. Non voglio l’elemosina di nessuno. Voglio una città bella da vivere. Penso di meritarlo. Per questo domenica e lunedì il mio voto sarà LIBERO.


Firma _______________________

domenica, giugno 11, 2006

Berlinguer a 22 anni dalla morte

Domenica 11 giugno ricorre il 22° anniversario della morte di Enrico Belringuer. Nell’occasione, una delegazione dei Democratici di sinistra formata da Livia Turco, Giglia Tedesco, il sen. Giorgio Mele, Marco Ciarla e Carlo Cotticeli della federazione romana dei Ds, si recherà alle 10.30 presso il cimitero di Prima Porta per rendere omaggio alla figura del segretario del Pci.

“Un uomo che ci ha lasciato un’idea alta e forte della politica, ispirata da valori e dimensione etica e sempre al servizio dei cittadini. Un dirigente politico che con coraggio, lucidità e lungimiranza ha saputo rinnovare la cultura politica della sinistra italiana e del suo principale partito, portandolo a riconoscersi nei valori del socialismo europeo e occidentale.

Un leader che in momenti drammatici per la vita della Repubblica ha saputo contribuire in maniera decisiva alla difesa delle istituzioni democratiche e alla salvezza dell’Italia.

A ventidue anni dalla sua scomparsa l’eredità morale politica e umana di Enrico Berlinguer rimane più che mai viva e attuale nella coscienza di milioni di italiane e italiani.”

Con queste parole Enrico Berlinguer è stato ricordato da Piero Fassino che si è recato questa mattina al cimitero di Prima Porta a rendere omaggio alla tomba del Segretario generale del PCI scomparso ventidue anni fa in seguito a un'emorragia cerebrale che lo colpì a Padova durante lo svolgimento di un appassionato comizio in vista delle elezioni europee del 1984. L'ultima frase pronunciata dal leader comunista prima di accusare il malore fu: "Compagni, proseguite il vostro lavoro casa per casa, strada per strada".

Ai suoi funerali partecipò oltre un milione di cittadini che resero palese l'ammirazione e la riconoscenza che una larga parte dell'opinione pubblica italiana aveva nei confronti di un uomo politico che Indro Montanelli aveva definito "introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, più turbato che allettato dalla prospettiva del potere e in perfetta buona fede".

mercoledì, maggio 24, 2006

Tutto ha un prezzo?


Si chiedono se siano masochisti, ma capiscono subito che amano la vita. Li vedono come extraterrestri, ma capiscono che sono di carne, cuore e anima come tutti. Pensano, insomma, che siano dei fessacchiotti, ma spesso devono ricredersi. Si domandano dove (e perchè) trovino tanta energia e... non capiscono...

Dopotutto... fare riunioni su riunioni, iniziative, presidi, volantinaggi, discussioni; mettere i manifesti gratis per le campagne elettorali e referendarie; fare i rappresentanti di lista gratis, mentre i coetanei... ci guadagnano; rimanere fino a tardi la notte (e persino alzarsi alle 5.30 la mattina come oggi - sì, tra 3 ore e mezza in piedi) per "fare politica" non è privo di sacrifici...

Eppure... grazie Sinistra giovanile

"Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L' indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della storia. L' indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l'intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l'assenteismo e l'indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un' eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto ad ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l' attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c' è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti"
Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917

martedì, maggio 23, 2006

La mafia si combatte ogni giorno

«Oggi gli italiani rivolgono il loro pensiero alla strage di Capaci, al tremendo assassinio di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo, di Antonio Montinaro, di Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

E’ una giornata segnata dal dolore per la perdita di un autentico eroe civile, di un uomo che aveva scelto di combattere la mafia e che aveva capito come farlo. Sapeva anche cosa gli sarebbe costato, ma questo non servì a fermarlo.

E’ una giornata segnata, tuttavia, anche dalla speranza e dalla consapevolezza.

Noi tutti sappiamo quanto la figura di Giovanni Falcone sia importante per i cittadini italiani, e in particolare per i giovani siciliani, che non vogliono perdere la speranza e la convinzione di contrastare ogni giorno, fino alla vittoria, questo nemico.

Ogni giorno, ciascuna iniziativa dedicata alla memoria di Giovanni Falcone costituisce un tassello di questa battaglia, un seme di giustizia, di passione civile, di liberazione, destinato a germogliare.

La battaglia contro la mafia richiede di agire con l’azione delle forze dell’ordine, la maturazione di una coscienza civile maggioritaria, la liberazione della politica e delle istituzioni dalle mille diramazioni del potere mafioso, l’avvio di una dinamica di sviluppo economico e sociale: dobbiamo impegnare le nostre energie, la nostra determinazione su tutti questi fronti, sapendo che possiamo fare affidamento su una grande leva di riscatto, su uno straordinario patrimonio di forza morale, quella che ci viene dall’esempio di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e dei tanti servitori dello Stato caduti perchè l’Italia fosse una società di donne e uomini liberi e sicuri».


Piero Fassino

mercoledì, maggio 17, 2006

Listino prezzi!

Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare... navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser... (Blade Runner 1982).

In questi giorni ne sento di tutti i colori... Più d'uno mi ha detto "questa campagna elettorale è una guerra". Devi uscire con l'elmetto per strada (per me va bene, tanto non riesco mai a sistemarmi i capelli… se non per le fotografie). Ma, se sei furbo, ci sono anche i lati positivi... Per esempio vi avviso che ho cambiato metodo di raccolta del consenso. In una città moderna come la nostra non si può venir meno alla legge universale del "mercato". Quindi anch'io cercherò di essere competitivo, utilizzando sistemi collaudati di marketing politico: compro voti!

Prima di tutto definiamo il target. Generalmente ragazzi, preferibilmente al primo o al secondo voto. Poche speranze, molto bisogno di soldi, aria da chi ha capito tutto della vita, non troppo orgoglio (se non per difendere le proprie legittime “scelte”), scarsa considerazione del proprio voto e della sua utilità. Beh... la vendita del primo voto (non il voto) è un momento importante. Una sorta di debutto in società, di visita di leva (che ora non c’è più), di primo approccio con il sesso. Ci devi passare se vuoi sentirti apposto con la coscienza. Non tutti lo fanno proprio perché non tutti sono in gamba come chi lo fa. Forse qualcuno – i più ottusi – le prime volte non lo fanno… poi si scatenano… Infatti si potrebbe provare anche con qualche cittadino (?!?) “adulto”. Vogliamo provare?

Ci sono diverse offerte e tu puoi scegliere quella che più è confacente alle tue esigenze. Si va dal pagamento della prestazione del rappresentante di lista (rilasciando nome cognome e numero di sezione propria e dei propri parenti stretti), all’acquisto cumulativo (diciamo, per esempio, 100€ ogni sei voti). Diversamente ci sono contratti più agili e veloci: 30,40,50€ “se mi voti”. Poi c’è il secondo turno, il ballottaggio ed il business può raddoppiare. Dipende dal contesto, dal partito, dalla raffinatezza del proponente. E’ possibile immaginare anche forme di contratto più articolate che prevedono un’equa parcella al procuratore di voti. Per esempio… se io dovessi dare 50€ a voto, qualcuno potrebbe procurarmene sei e richiedere il giusto compenso (50x6=300€) pagando i 5 rimanenti clienti solo 20€ ciascuno. Bravo, sì. Questo è un giochetto furbo ;) . Magari potrei comprarmi proprio una lista o qualche associazione. Potrei comprarmi un sacco di cose, magari per tempo... per non rischiare in campagna elettorale...

Basta una stretta di mano ed uno sguardo complice, un sorriso e la sicurezza di un’utile amicizia. Poi ci sono metodi più tradizionali. Buoni benzina, cene, ingressi discoteca, alimenti… Sì, dai, quanti amici potrei far felice. Tutto sommato che problema ci sarebbe? Ora che ci penso… con qualche migliaio di € in più si potrebbe comprare una lista intera. Perché no? Così non avrei il problema di cercarmi i voti… basta comprare. Dopotutto… “sono tutti uguali”. Con quei 50€ si fa felice una persona. Può stare tranquilla per almeno altri 5 anni. 10€ all’anno. Ottimo! Il guadagno è evidente. Tanto la politica non dà da mangiare a nessuno. Almeno non a chi si trova fuori dal palazzo. I 50€, invece, sono veri, concreti. Un impegno concreto.

Come? Non si può? Non si possono comprare i voti? È illegale? Ah… scusate... Sì, sì scusate... No, vabbè, sapete… mi sono lasciato andare. Non vedete? Sto sorridendo in questo momento: stavo scherzando. Si giocava, non avevo intenzione di COMPRARE I VOTI. Non potrei farlo a Molfetta. Queste cose non succedono. Non qui. Non a Molfetta. Infatti: scusate. Chi venderebbe mai il proprio voto? E, soprattutto, chi lo comprerebbe? Nessuno. Sarebbe una cosa disgustosa, aberrante. Nessuna donna o uomo che si propone di servire la propria città potrebbe immaginare una cosa simile. Sono tutte barzellette… Figuriamoci… Queste cose non stanno né in cielo, né in terra. Siamo troppo intelligenti e amiamo troppo la nostra terra per fare una cosa del genere. Queste cose non le fa nessuno. TUTTI I CANDIDATI al Consiglio Comunale si candidano solo per senso civico e per contribuire allo sviluppo della propria comunità...

Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare... navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire...” (Blade Runner 1982).

lunedì, maggio 15, 2006

Ricostruire lo sviluppo

Molfetta è una città dall’anima inquieta, posseduta dall’eterna lotta tra creatività e parassitismo. La laboriosità e l’estro dei suoi cittadini sono stati più volte controbilanciati dalla predilezione per le scorciatoie. Si intraprendono molte strade, la maggior parte delle volte con entusiasmo e trasporto, ma difficilmente le si percorrono fino in fondo. Forse è nella natura della città il cercare sempre una mediazione possibile, anche se questa caratteristica ha portato più di una volta ad uno scivolamento verso il baratto della propria bellezza, delle proprie risorse.

Non crediamo che ci siano ancora scorciatoie da percorrere, se non a rischio di compromettere definitivamente la coesione sociale, la capacità produttiva della città e il rapporto tra la sua storia e il territorio. L’illusione di fare sempre buoni affari – o di doverne fare – appare macchiata da un’eccessiva ingenuità. Siamo arrivati al punto focale: occorre ricostruire lo sviluppo. Nel senso di leggerne, interpretarne il divenire e di disegnare scenari meno angusti, guardando ad un orizzonte più ampio, che pacifica il Mediterraneo con la terraferma, la modernità con le vocazioni della Civitas, le risorse con le debolezze. Senza corse disperate verso la crescita a tutti i costi e senza distrarsi, vendendo pezzi di sé in cambio di vacue speranze.

Ricostruire lo sviluppo significa rielaborare ancora una volta l’antica arte della mediazione, ma senza scivolamenti verso il basso. Significa legare i tanti frammenti di storia ed esperienza in un mosaico di senso compiuto, cercare l’equilibrio delle diversità pulsanti del territorio, trovare la sintesi dei conflitti aperti, rispecchiarsi e riconoscersi nell’insieme molteplice di cui ogni percorso è parte. Significa fare sistema.

da "Ricostruire lo sviluppo"


Mercoledì presento il libro. Voi ci sarete?
Corrado

mercoledì, maggio 10, 2006

Oltre 700 candidati

Oltre 700 candidati, tanti, tanti soldi che girano, interessi che s’intrecciano, volantini, santini, fac-simili, schede, manifesti, favori, promesse, strette di mano, sorrisi di plastica...

E poi le parole… quante parole… “Mò sì giòvene, mò ca crisc te n’avvìrt!”, “Taue mò sì adaccssì, ma po’ adà fa come o senetore…”, “Vabbè, sai… tu sei un bravo ragazzo, però quelli che stanno dietro a te…”, “…noooo, magari erano tutti come a te, però cure deve trovare il posto di lavoro a mio figlio”, “Sinde, aie t vote, ma taue cè m dè?”

Volete che continui l’elenco delle cose che ho dovuto sentire in questi cinque anni di militanza politica? Per piacere, no: ho appena finito di mangiare. Lo posso dire (che ho appena finito di mangiare e non voglio alterare la digestione)? Beh, sì: sono sul mio blog e posso parlare senza peli sulla lingua. Dopotutto, se non vi va di leggere o scrivere, potete cambiare pagina.

Che poi è proprio quello che vorrei fare io: cambiare pagina. Lo so, lo so: non c’è mai il tempo, non c’è mai la possibilità, non ci sono mai le condizioni… Eppure da qualche parte si dovrà pur cominciare. Io comincio da qui: dalla mia città. E voi?

…sono aperto alle provocazioni!!!

Corrado